Genitori e Figli di Gabriele Policardo


I genitori non dovrebbero mai chiedere consigli ai figli, lasciare che si occupino dei loro problemi o cercare insieme delle soluzioni per tutto ciò che non riguarda i figli stessi. Ogni volta che ciò accade, cedono il proprio territorio e lasciano che la stima provata vero di loro diventi compassione. Si espongono al giudizio, mostrandosi fragili. A sentir loro, sembrerà normale che questo succeda e si saranno anche convinti che sia piacevole e buono. Lo è indubbiamente per sé ma niente affatto per i figli, che in silenzio e per amore si saranno fatti carico di pesi, decisioni, sofferenze, rinunce.
Lasciare che un figlio metta da parte la propria infanzia (o qualsiasi altra età) per accogliere la sofferenza, il fardello e la responsabilità di un genitore, significa proporgli un sacrificio cui per amore non si tirerà mai indietro. Il suo accettare non vuol dire che sia giusto, né scelto per inconsapevolezza. Chiedere così ad un figlio di divenire genitore senza essere stato prima adulto significa snaturarlo, deprimerlo, violarlo.
I genitori non dovrebbero mai mostrarsi sofferenti, far vedere che piangono, dire che non ce la fanno, invocare la propria morte, cedere ai figli la responsabilità di una scelta. Ne che riguardi loro stessi, né tanto meno che riguardi i figli. Nessun figlio dovrebbe decidere da solo ciò che è meglio per sé, mentre i genitori sono ancora in vita, soprattutto se avverte il bisogno di un conforto o di un consiglio. Il dolore di un padre e di una madre è una stanza cui i figli non devono avere accesso, mentre invece troppo spesso accade che si vedano consegnare le chiavi.


L’unico imperativo categorico è tutelarli, proteggerli, nutrirli, materialmente e spiritualmente, di amore, di ascolto, attenzioni e…libertà. Lasciarli andare quand’è il momento (compito soprattutto del padre e dolore principalmente per la madre) e renderli indipendenti. Saper dire: “Ho stima di te e che tu ce la possa fare nel mondo. Ad ogni modo, potrai sempre contare sul nostro aiuto”. Anche se in troppi casi i genitori tengono avvinti a sé i figli perché sono loro ad averne bisogno per andare avanti e a prendere da essi.
Ho osservato spesso una dinamica subdola: alcuni genitori tengono sotto sacco i figli mantenendoli economicamente e facendosi mantenere emotivamente; quando i figli desiderano allontanarsi, i genitori minacciano: “Se te ne vai non ti darò più un soldo e dovrai arrangiarti”.
L’equivoco del mantenimento materiale nasconde spesso il vizio di mantenerli bambini a livello economico per potersi comportare da bambini verso di loro a livello energetico. Il guaio è che molti figli si convincono di essere davvero dei bambini mantenuti e per la paura di affrontare il mondo da soli, ignorando di essere adulti e di avere addirittura la forza dei genitori, restano schiavi dell’incantesimo familiare e si fanno assalire dall’insicurezza.
I genitori dovrebbero dare soltanto tutto ciò che hanno e che riescono a dare, senza chiedere, pretendere, aspettarsi nulla in cambio. Non ritenere mai che i figli debbano essere grati a loro, né rinfacciare sacrifici e azioni come se li considerassero alla stregua degli amici, passanti o estranei. A cui non di rado, danno volentieri senza aspettarsi nulla indietro.
Nessun altro dovrebbe vedersi riconosciuto l’amore, l’attenzione, il nutrimento che spetta loro di diritto. E se accade, è naturale e sano che si manifesti una forma di competizione o di biasimo.
Ai figli più grandi non è mai richiesto di diventare genitori dei figli più piccoli o vice-genitori. Non si parla di azioni, di compiti o di aiutare in casa: il senso è nella responsabilità. In un matrimonio seguito da separazione o da divorzio, chiedere a un figlio di dare dei consigli amorosi su eventuali nuove relazioni significa porlo in conflitto con la figura dell’altro genitore ed entrare nell’evenienza di dover scegliere.
Fargli maturare un senso di colpa nei confronti di quell’altro genitore o di colui che richiede il consiglio.


Se i figli, a una certa età, si sentono spontaneamente di dare, di prendersi cura, di occuparsi dei propri genitori, questi ultimi possono accettarlo come un atto d’amore e di riconoscenza che nasce spontaneo ed è il frutto di una vita di dedizione. Un genitore non è in ciò che dice e che fa, è nella sua posizione, è nel luogo superiore, saldo, invalicabile da cui compie le azioni e pronuncia le proprie parole. Un luogo che il figlio potrà raggiungere e superare solo quando sarà egli stesso genitore e lo farà esclusivamente nei confronti dei propri figli. Quando i genitori diventano anziani e vi sono malattie o invalidità, la regola non cambia. Un genitore resta tale, grande, anche mentre viene accudito, lavato e imboccato. Qualsiasi azione e attenzione riceva, procurerà in lui gratitudine…
Gabriele Policardo