L'Amore e il rifiuto di Gabriele Policardo



È il grande tema della vita di tutti, l’amore e il rifiuto. Il quadro simbolo di questo conflitto dell’anima — “Il bacio” di Gustav Klimt — è divenuto una delle icone principali del secolo scorso. Non ritrae un semplice abbraccio tra un uomo e una donna: il suo successo universale è dovuto al fatto di rappresentare in un’unica immagine l’amore e l’indifferenza, l’attrazione e il rifiuto, la ricerca e l’allontanamento, l’accoglienza e l’esilio, il prendere e il lasciare, la vita e la morte. 
In un mare infinito d’oro, splendido e angosciante, un uomo stringe una donna, sull’orlo estremo di un precipizio, tra fiori luccicanti. I suoi ornamenti sono squadrati, geometrici: è la razionalità del maschile. L’abito di lei, colmo di preziosità e corolle tondeggianti, descrive l’armonia del femminile. 

Tuttavia, non è lei che accoglie e desidera. Al contrario, è in una tensione lieve e implacabile. Con una mano trattiene le dita dell’uomo, scosta il viso perché il bacio cada sulla guancia, l’altra mano afferra, ma è contratta: sembra resistere più che concedere: nel prendere, lascia. Perché è in quell’abbraccio? È il nodo e il destino di tutte le vite. 

L’amore e il rifiuto coesistono in tante esistenze. Sono collegate ai primi istanti di vita, al rapporto con la madre, al primo sguardo, al primo abbraccio, al primo messaggio d’amore. In quel momento delicato e totale in cui l’individuo si sente preso e amato, oppure rifiutato e disprezzato o, come accade a tanti, entrambi. Esattamente come in quell’abbraccio. 
Proprio come accade a tanti che vengono ai nostri eventi e seminari, perseguitati dalle stesse esperienze angoscianti in campo sentimentale, svuotati, in preda alla rabbia, spesso disperati e logorati da amori disfunzionali: hanno a che fare con relazioni nelle quali non vengono presi né lasciati, accolti né allontanati. C’è chi esce di testa, perché nell’ambiguità di un abbraccio dato e non dato, una parola detta e non detta, una scelta presa e non presa e una via mai definita, si crea un logoramento insopportabile. 
Eppure ciascuno cerca e infonde nel mondo solo l’amore che conosce e che ha conosciuto, quello che è impresso nella sua esperienza, quello in cui crede e che si aspetta. C’è chi può ammettere solo un amore che toglie tutto senza concedere niente; chi al contrario sa solo prendere senza dare. Il dolore esprime sempre uno squilibrio e un conflitto nell’anima, come dev’essere accaduto all’origine. Per questo lavorare sul sistema familiare è l’unica soluzione, o almeno la più rapida e diretta, per riportare l’ordine e l’armonia; nella relazione, nei sentimenti, nella vita. Poi è anche necessaria la giusta distanza. Perché una grande lontananza e un’eccessiva vicinanza sono entrambi causa di squilibrio e conflitto. Prima coi genitori, poi con tutte le altre relazioni. 

È dallo scontro tra volere e non volere, desiderare e rifiutare, che si produce la più grande quantità di energia che noi liberiamo. Sia quando lo scontro è interiore (volere un’esperienza e al contempo trattenersi dal viverla), sia quando è tra due persone (l’una vuole qualcosa, l’altra no). In questo duello, cosa accade? Tutta l’energia si perde. Ciascuno resta senza energia. O meglio, con l’energia minima per sopravvivere. 
Siamo tutti, potenzialmente, Leonardo Da Vinci. 
Se ciascuno scorresse nel flusso, aprendosi, rendendosi colpevole, dicendo «Sì» a ciò cui la vita conduce — perché la vita ha sempre ragione — ci sarebbero molti meno conflitti, tante malattie in meno e anche molte morti sarebbero evitate. Dal capolavoro del vivere. Dall’abbraccio che include. Dall’unione che consente di essere uno. E nel bene come nel male, al di là di ciò che sarà il divenire, dal resistere alla vita, dicendo «Sì» a se stessi e all’altro, così com’è, così come è giunto tra le nostre braccia, sull’orlo estremo del precipizio.~