Tutta la nostra vita è costellata di fatti sincronici, piccole e grandi coincidenze alle quali non facciamo caso quando addirittura non ci infastidiscono. Ci disturba soprattutto cogliere l’emozione che è insita nel fatto sincronico e spesso ci difendiamo da questa emozione negandola. E pensiamo: “lasciamo perdere, sono semplici coincidenze senza rilievo”.
Lo scrittore e medico indiano Deepak Chopra scriveva nel suo libro ‘Le Coincidenze’ (2013): “Noi non sperimentiamo la sincronicità nella vita quotidiana perché non viviamo al livello in cui si verificano le coincidenze. Di solito vediamo solo i rapporti di causa ed effetto… Ma sotto la superficie sta succedendo qualcos’altro: seppur invisibile ai nostri occhi, c’è una complessa rete di connessioni.”
Prima di inoltrarci sul tema delle corrispondenze tra sincronicità e inconscio, vorrei anzitutto vedere quello che Jung ha scritto sulla sincronicità.
La sincronicità per Jung
Gli scritti di Jung su questo tema sono concentrati prevalentemente in due suoi libri: ‘La sincronicità’ (1951) e ‘La sincronicità come principio di nessi acausali’ (1952). Jung diede diverse definizioni di Sincronicità, a volte anche un po’ oscure, ma fin dall’inizio sganciò la sincronicità dalla casualità. Scriveva: “la sincronicità è la coincidenza temporale di due o più eventi non legati da un rapporto causale, che hanno uno stesso o analogo contenuto significativo” (1952) e aggiunge “ … in opposizione alla nozione di sincronismo che indica soltanto il semplice fatto della simultaneità di due fenomeni”.
Con questa affermazione Jung sapeva bene che stava parlando di fenomeni che si ponevano al di fuori di un continuum spaziotemporale e quindi, al di fuori della fisica galileiana. E’ in questa nuova dimensione che lui costruisce la sua teoria della psicologia analitica. Scriverà ad un certo punto, in ‘Riflessioni teoriche sull’essenza della psiche’: “La psicologia deve dunque abolirsi come scienza e proprio abolendosi raggiunge il proprio scopo scientifico” (1947).
Jung da un punto di vista epistemologico doveva affrontare il tema dell’inconscio collettivo e quello degli archetipi che, come lui diceva, sono rappresentazioni coscienti di realtà che contemporaneamente rimangono forme irrappresentabili. Ad esempio, non potremmo mai dare alcun valore obiettivo alla rappresentazione di archetipi come il Sé, l’ombra, l’anima o animus, Dio, in quanto sono i prodotti della stessa psiche che avrebbe dovuto indagare su di essi. “In tal modo” –dice Jung- “ la psicologia si vede interdetta ogni asserzione su stati inconsci, vale a dire che non esiste alcuna speranza di poter dimostrare scientificamente la validità su qualsiasi asserzione sugli archetipi”.
E’ a questo punto che Jung trova una sponda teorica nella fisica e in particolare nella fisica quantica. Conosciamo la proficua collaborazione con il fisico W. Pauli. Pauli, come ricorda il Prof. Edoardo Boncinelli, scriverà: “Dal momento che la concezione determinista è stata abbandonata in fisica, non ci sono neanche ragioni per mantenere ancora una concezione vitalista, secondo cui l’anima potrebbe e dovrebbe “violare” le leggi fisiche. Mi sembra piuttosto che una parte essenziale ‘dell’ armonia universale’ consista nel far sì che le leggi fisiche lascino proprio un margine per un altro modo di osservare e di considerare le cose (la biologia e la psicologia) in modo che l’anima possa raggiungere tutti i suoi ‘obiettivi’ senza violare le leggi fisiche”. Dal ‘Corriere.it’.
E’ il riconoscimento da parte di uno scienziato, premio Nobel per la fisica e cofondatore della meccanica quantistica, dell’ importanza e validità della ricerca empirica di Jung.
A questo punto si pone allora una grande questione da un punto di vista terapeutico. Ci chiediamo: che importanza dare a fatti sincronici portati e vissuti in terapia?
La sincronicità oggi
Va anzitutto detto che la ricerca sulla sincronicità dopo Jung, non ha di fatto prodotto niente di veramente nuovo e il mondo scientifico sembra essere ancora arroccato dentro le mura di una cittadella dove vigono canoni e categorie ormai di fatto superati. D’altra parte chi si muove fuori da questi rigidi parametri, si sente spesso autorizzato a dar credito e forma ad ogni possibilità. E’ così che il mondo del ‘paranormale’ ha prodotto una quantità di materiale, di libri e testimonianze che tante volte non possiamo non catalogare come fantasie o forse anche deliri.
E’ questa la difficoltà e il lavoro del terapeuta. Discernere ciò che è buono, vero, da ciò che non lo è, non secondo parametri pre-stabiliti ma, secondo le categorie del paziente. Ho già riportato in un altro articolo l’episodio di sincronicità di quel mio paziente che entrava in studio e diceva esattamente quello che io stavo scrivendo sul computer. Qual’ era presumibilmente il senso di quanto stava accadendo? Il paziente mi diceva che si sentiva legato a me, che mi portava anche fuori dal setting e mi chiedeva di non lasciarlo.
Certo, il suo inconscio avrebbe potuto scegliere un altro modo per dirmelo. Fare un sogno, oppure vivere un agito “acting out” o raccontarmelo in maniera transferale. Ha scelto quello della sincronicità. Devo dire che nel caso specifico se voleva farsi ascoltare, coinvolgendomi emotivamente, c’era riuscito.
Trova così senso l’idea squisitamente junghiana della psicoterapia, come di un rapporto unico, non ripetibile e neanche imitabile. Jung era ‘allergico’ ad ogni forma di scuola teorica di psicoterapia, compresa la sua. Ogni paziente è diverso e richiede un approccio non sperimentato.
Nel contempo il terapeuta non potrà mai dimenticare di essere in uno stato di continua ricerca. Il suo scopo sarà sempre quello di curare e conoscere.
Solo se ci muoviamo su questo doppio piano, senza la zavorra di preconcetti culturali potrà aver senso l’auspicio di Jung quando scriveva: “Passerà ancora molto tempo prima che la fisiologia e la patologia del cervello da un lato e la psicologia dell’inconscio dall’altro possano darsi la mano. Anche se alla nostra conoscenza attuale non è concesso di trovare quei ponti che uniscono le due sponde … esiste tuttavia la sicura certezza della loro presenza. Questa certezza dovrà trattenere i ricercatori dal trascurare precipitosamente e impazientemente l’una in favore dell’altra o, peggio ancora, dal voler sostituire l’una con l’altra. La natura non esisterebbe senza sostanza, ma non esisterebbe neppure se non fosse riflessa nella psiche”.
Da: “Pauli e Jung” di S. Tagliagambe e A. Malinconico.
Di Renzo Zambello