IL GENIO, LA LAMPADA, UNA BENEDIZIONE E I DESIDERI IRREALIZZATI di Gabriele Policardo



Quante volte sogniamo la vita che vogliamo. Ma poi… vogliamo la vita che abbiamo sognato? Spesso no. L’altro giorno ero al mare, da solo, di fronte all’immensità del mondo, della natura, del cosmo. C’era un cielo grigio e infinito di fronte a me e io ero piccolo di fronte a esso. Ho iniziato a camminare lungo la riva. L’infinito era casa mia. Sulla spiaggia, un divano blu a due posti, come un metafisico invito a essere uno in quel tutto. 
Grandi nuvole gassose, bianche, grigie, nere, si mescolavano come alchimie divine, prima del tramonto. La sabbia sotto ai miei piedi era gelida. E l’acqua del mare, inspiegabilmente tiepida. Io la guardavo accarezzarmi i piedi e formulavo la preghiera di ripulirmi da tutto ciò che avevo accumulato in tanti giorni di lavoro. Poi ho guardato dentro di me al passato e improvvisamente sono riaffiorati alla mia memoria tutti i desideri che il mio genio della lampada, nonostante le mie disperate richieste, non aveva realizzato. Dunque, l’ho ringraziato. Perché nel non ascoltarmi, mi ha condotto esattamente alla vita che desideravo. 

Quel contratto universitario di ricerca, disperatamente atteso per anni; quel lavoro come sceneggiatore di una prestigiosa fiction storica per Raiuno che invece ci fu fregata da un produttore bandito, quella tv da lanciare per una grande società insospettabile, che poi si rivelò l’ennesima truffa, quelle mille occasioni per case, oggetti, lavori, collaborazioni, e, soprattutto, quelle persone desiderate… tutto oggi mi appare come un quadro nitido e perfetto. Ora che respiro, so che tutti quei desideri mi avrebbero consegnato a una vita di asfissia. Ora so che quelle persone non mi avrebbero reso l’uomo che avrei voluto essere. Né quelle occasioni perdute. E quanto amo il mio genio della lampada, e quanto m’inchino a lui, perché quando io ero pronto a firmare qualunque impegno e a mettere la mano sul fuoco, lui mi ha disilluso, ignorato, tradito, e in questo male, salvato la vita e l’anima. 
Ho compreso un aspetto profondo e fondamentale dell’arte di desiderare. Anche desiderare è una forma di controllo. Una forma di fuga. Un alibi. L’anima sa esattamente dove andare, chi e cosa scegliere, quali esperienze vivere. Se gli antenati vengono onorati, se i genitori sono rispettati, il mondo è un gioco infinito di scelte. Ma solo una è la vita che somiglia veramente a noi. Essa si comincia a manifestare quando cessa ogni controllo e, paradossalmente, ogni desiderio. Quando si smette di sognare la vita che si vuole, e si comincia a vivere. Occorre lasciarsi molto dietro. Abbandonare la propria famiglia. Passare attraverso il deserto. Entrare in un mare e camminare attraverso di esso, superando il terrore che si richiuda su di noi. Giungere al di là e aprire il proprio cuore all’ampiezza. E, nel bene come nel male, all’ineluttabile forza intelligente che conduce con amore il nostro destino. Ci sforziamo, resistiamo, piangiamo, soffriamo, ci opponiamo in una tensione mortale. Ma se questa tensione crolla, la vita riaffiora e guarisce. 


Come il divano sulla spiaggia, che al ritorno dalla mia passeggiata era stato catturato dalle onde e dolcemente cullato. Portato avanti e indietro, verso riva e verso il largo, lungo le case e oltre le dune. Ora leggero come una piuma sul pelo dell’acqua. Ora pesante, fermo e immobile come una roccia. In accordo con lo spirito e il destino, non più nell’opposizione e nella contrazione. Ma nell’espansione creativa del tutto. Ampio, fiducioso, aperto al divenire e alle sue trasformazioni.