Una sola certezza




Donna, come ti chiami? - Non lo so.
Quando sei nata, da dove vieni? - Non lo so.
Perché ti sei scavata una tana sotto-terra? - Non lo so.
Da quando ti nascondi qui? - Non lo so.
Perché mi hai morso la mano? - Non lo so.
Sai che non ti faremo del male? - Non lo so.
Da che parte stai? - Non lo so.
Ora c’è la guerra, devi scegliere. - Non lo so.
Il tuo villaggio esiste ancora? - Non lo so.
Questi sono i tuoi figli? - Sì.

Mille volte si è sentita dire “Fidati”, in mille toni simili e diversi e dietro la maschera ha scoperto che non sempre c’è il volto. Le è costato sognare. Per farlo doveva chiudere gli occhi e non sempre poteva permetterselo. Allora si è ritrovata a immaginare. Ha potuto accorgersi che dal sogno ci si sveglia a mani vuote mentre con l’immaginazione si costruiscono ponti e che, attraversandoli, non crollano.
Le donne hanno più potere politico degli uomini, a patto che non rinneghino la maternità.

Non parlo di una maternità confinata soltanto alla gravidanza e al parto. Parlo dell’istinto della donna di accogliere e raccogliere, dare alla luce, portare avanti e difendere ciò che pulsa e vive nel mondo, nonostante il mondo. Come descrive Wisława Szymborska in “Vietnam”, il massacro della guerra può portare via a una donna l’identità e ogni certezza, tranne una: sa ancora riconoscere la vita tra le macerie, il futuro da proteggere in mezzo alla distruzione. Che li abbia partoriti o no, quelli accanto a lei sono i suoi figli. 
(cit e fonte il sole 24 ore di Giulia Carcasi)